Il coordinatore dell’attività scientifica Isokinetic al “Corriere dello Sport”: «La rottura del tendine d'Achille è un infortunio serio, il recupero richiede calma»
Uno scatto sul campo, poi il dolore improvviso alla gamba sinistra. La richiesta immediata del cambio e i sanitari che lo trasportano in barella con le mani sul volto. Per il terzino della nazionale Leonardo Spinazzola l’avventura agli Europei di Calcio è finita al minuto 77 della gara Belgio-Italia. La diagnosi per lui è stata rottura del tendine d’Achille.
Nel calcio maschile professionistico questo tipo di infortuni è abbastanza raro. I problemi al tendine di Achille rappresentano il 2.5% di tutti gli infortuni. Di questi solo il 4-5% sono rappresentati da rotture parziali o totali del tendine di Achille. Quando questo si verifica siamo di fronte a un infortunio molto serio, che bisogna gestire prontamente.
Uno nostro studio (Centro Studi Isokinetic) di video-analisi dimostra come le rotture al tendine d’Achille avvengono prevalentemente con meccanismi di non contatto puro (83%), seguiti da contatto indiretto (17%). Sono stati individuati tre pattern situazionali prevalenti: accelerazione da fermo (42%), accelerazione in movimento (25%) e accelerazione verticale (18%). Nel primo caso si tratta di «una sorta di stop and go, come accaduto a David Beckham. Il secondo tipo di pattern è l’accelerazione in movimento – spiega Della Villa – cioè il giocatore sta già correndo, come successo a Spinazzola. Il terzo è l’accelerazione verticale, cioè mentre si salta».
Il calciatore della nazionale italiana è incappato in uno dei pattern più frequenti. Era cioè lanciato ad alta velocità quando ha compiuto un ulteriore cambio di passo effettuando un cross-over cut, ovverosia un cambio di direzione utilizzando come perno la gamba interna. Questo movimento ha provocato un’eccessiva pronazione del retro-piede, accoppiata a estrema dorsi-flessione della caviglia, causando la lesione tendinea.
Un episodio come la rottura del tendine d’Achille, una delle strutture più complesse e resistenti dell’apparato muscoloscheletrico, può condizionare la carriera del calciatore infortunato. I risultati clinici sono comunque buoni, come confermato da uno studio di Alberto Grassi e colleghi dell’Istituto Rizzoli di Bologna. «L’82% dei giocatori torna a giocare ma per recuperare da un infortunio come questo serve il tempo necessario». I tempi medi di ritorno in allenamento sono di 200 giorni, mentre salgono a 280 per il ritorno in partita.
E la cura? Per Della Villa «nella maggior parte dei casi si opta per un trattamento chirurgico. Il tendine d’Achille è una specie di cordone. L’intervento è una riparazione, per cui in pratica si attaccano i due monconi». Ad oggi, vista la ancora limitata conoscenza dei meccanismi di rottura, non c’è accordo sui contenuti del programma di ritorno allo sport e sui criteri funzionali di progressione e di ripresa dell’attività. «Bisogna fare quello che si fa con il crociato: riabilitazione e farla bene».
Per approfondimenti circa gli studi sulla rottura del tendine d’Achille: