L’insorgenza di lesioni cartilaginee è frequente per un meccanismo di usura determinato dalla ripetizione di certi movimenti, o in seguito a traumi veri e propri. Un’erosione della cartilagine, più o meno profonda, viene chiamata condropatia e provoca un alterato scorrimento dei capi ossei che si traduce in dolore, gonfiore e difficoltà di movimento.
Per evidenziare e quantificare l’area della lesione cartilaginea il medico eseguirà un accurato esame clinico e prescriverà una risonanza magnetica (RMN).
La condropatia viene classificata in 4 stadi a gravità crescente che differenziano anche l’atteggiamento terapeutico da adottare.
Per le lesioni cartilaginee più lievi è indicato il trattamento conservativo mentre per i casi più severi viene scelto quello chirurgico. Lo scopo terapeutico è di interrompere il circolo vizioso che, mediante l’aumento progressivo dell’attrito, porta alla degenerazione articolare.
Il programma riabilitativo viene personalizzato in base alla sede e all’entità della lesione, con l’obiettivo di ridurre il dolore e ripristinare il tono-trofismo di particolari gruppi muscolari che svolgono un importante ruolo protettivo.
Le tecniche chirurgiche adottate per il trattamento della cartilagine sono numerose: alcune puntano a stimolare la capacità di riparazione del tessuto cartilagineo residuo attraverso la produzione di fibrocartilagine, mentre altre hanno come obiettivo la rigenerazione ex novo dell’area cartilaginea lesionata sostituendola con nuova cartilagine ialina. Ovviamente quest’ultima opzione è riservata a quelle lesioni più gravi che richiedono un intervento più radicale.
Condroabrasioni o shaving cartilagineo
Si tratta di un intervento che regolarizza semplicemente la superficie della cartilagine lesionata.
Nei primi gradi di lesione la cartilagine si sfrangia e forma delle fibrille che vengono asportate con uno strumento specifico nel tentativo di rimuovere i lembi e i margini liberi che entrano in conflitto meccanico con l’articolazione. I risultati a lungo termine sono scarsi. Non è un intervento di per sè risolutivo perché non ha capacità riparative nè rigenerative.
Microfratture
Questa tecnica mira a creare numerose perforazioni a livello subcondrale. Lo strato di osso al quale aderisce la cartilagine viene così fatto sanguinare e si forma un nuovo strato di cartilagine qualitativamente più scadente (cartilagine fibrosa) rispetto alla cartilagine originale (cartilagine ialina) ma comunque dotata di caratteristiche biomeccaniche accettabili.
Questo intervento rientra nell’ambito della chirurgia ripartiva. In genere viene proscritto il carico per un mese dopo l’intervento e l’attività sportiva ad alto impatto viene concessa dopo circa 6 mesi.
Innesti osteocondrali autologhi (OAT) o mosaico plastica
Nel corso dell’intervento vengono estratte delle “carote" di tessuto cartilagineo con una porzione di osso sub condrale da zone di non carico articolare e vengono “zeppate" nella lesione cartilaginea opportunamente preparata. In questo modo viene colmato il difetto cartilagineo con cartilagine ialina.
I risultati sono buoni anche nel lungo termine. L’intervento prevede il non carico per 30-45 giorni post intervento e la ripresa dell’attività sportiva ad alto impatto dagli 8 mesi in poi.
Trapianto di condrociti autologhi (ACI)
Questa metodica prevede 2 tempi chirugici: in un primo tempo vengono prelevati i condrociti dall’articolazione e messi in coltura per un mese; dopo 30 giorni i condrociti si innestano su una matrice tridimensionale (es: acido ialuronico) e vengono poi reinseriti nell’articolazione per colmare il difetto cartilagineo. I risultati a lungo termine sono ottimi ma i tempi di riabilitazione sono molto lunghi: l’intervento prevede il non carico per 30-45 giorni post intervento e la ripresa dell’attività sportiva ad alto impatto dai 10 mesi in poi.
Scaffold biomimetici (MaioRegen)
Una delle ultime frontiere è rappresentata da questi supporti sintetici costituiti da idrossiapatite e fibre collagene. La tecnica prevede un solo tempo chirurgico nel corso del quale viene sagomato lo scaffold sulla base del difetto cartilagineo. Quest’ultimo viene inserito dopo aver fatto sanguinare la superficie lesionata in modo che le cellule staminali contenute nel sangue colonizzino lo scaffold e si differenzino in condrociti.
L’intervento prevede il non carico per 45-60 giorni post intervento e la ripresa dell’attività sportiva ad alto impatto dai 10 mesi in poi.
Trapianto di cellule mesenchimali autologhe
Vengono prelevate le cellule staminali dal midollo osseo del paziente, estratto dalla cresta iliaca. Queste cellule vengono veicolate su un supporto con aggiunta di fattori di crescita estratti dal sangue del paziente. Infine questo preparato si impianta a livello della lesione condrale colmando il difetto.
In genere sono esclusi i pazienti over 50 e i risultati sono sovrapponibili al trapianto di condrociti.
L’intervento prevede il non carico per 30-45 giorni post intervento e la ripresa dell’attività sportiva ad alto impatto dai 12 mesi in poi.
La riabilitazione post intervento così come i tempi di recupero varieranno molto a seconda della tecnica chirurgica adottata. È fondamentale svolgere un adeguato protocollo riabilitativo che permetta di recuperare il massimo nel rispetto dei tempi biologici di guarigione propri del tessuto cartilagineo.
La riabilitazione avviene attraverso 5 fasi con obiettivi ben definiti:
Ogni passaggio da una fase all’altra della riabilitazione viene deciso dal medico che valuta precisi parametri clinici.
La prima fase della riabilitazione verrà svolta alternando piscina e palestra. Questo momento è particolarmente delicato perché la cartilagine sostituita è vulnerabile agli stimoli meccanici inappropriati. Dosare opportunamente i carichi consente di stimolare l’integrazione della nuova cartilagine e la sua maturazione, al contrario carichi eccessivi possono causare il fallimento dell’impianto.
In palestra vengono alternate terapie fisiche e manuali, esercizi di rinforzo e di propriocezione secondo una precisa progressione.
In piscina il paziente comincia a recuperare lo schema del passo e i movimenti dell’articolazione operata e, se sportivo, può anche introdurre esercitazioni specifiche in acqua alta senza caricare sull’articolazione. Anche in piscina, come in palestra, si collaudano esercizi di rinforzo e coordinazione utilizzando pinne, salvagente e tavolette di dimensioni variabili.
Nei mesi successivi il paziente riprende a correre su tapis roulant e effettua esercitazioni propedeutiche al campo di riabilitazione. Vengono inserite, durante le sedute di riabilitazione, anche delle sessioni di allenamento isocinetico che culmineranno con un test per valutare la differenza di forza tra l’arto operato e quello sano.
Un deficit lieve di forza tra i due arti permette di introdurre il campo nel percorso di recupero del paziente a patto che i tempi biologici di maturazione dell’impianto siano rispettati. In questa fase il paziente viene sottoposto ad un test di soglia per valutare il suo stato di forma e dare dei parametri precisi ai rieducatori in campo, perché svolgano un lavoro più personalizzato ed efficace.
In campo la progressione per fasi porterà il paziente a recuperare la sua forma fisica pre-infortunio e la destrezza nell’uso dell’attrezzo sport specifico.