Su SprinteSport, una pagina dedicata ai consigli del Prof. Fabrizio Tencone e il racconto-testimonianza di chi sta combattendo contro questo “avversario". Si presenta in studio, accompagnato dalla mamma, un aspirante calciatore: Luca (nome di fantasia); 14 anni, sofferente da qualche tempo di dolori davanti al ginocchio destro. Luca è reduce da una visita ortopedica che gli ha diagnosticato un principio di morbo di Osgood-Schlatter, un problema abbastanza frequente nei ragazzi in età evolutiva che si manifesta con forti dolori localizzati nella parte anteriore delle ginocchia causati da un eccesso di tensione del muscolo anteriore della coscia.
E’ questo uno degli spartiti più classici che può verificarsi nel corso del percorso di crescita calcistico (o generalmente sportivo) di un giovane atleta: ma come è possibile essere certi che si tratti proprio di morbo di Osgood-Schlatter? In virtù di quali sintomatologie? E soprattutto: quali cure è necessario seguire? Su questi interrogativi prova a fare chiarezza Fabrizio Tencone, medico chirurgo specialista in Medicina dello Sport, direttore del centro Isokinetic di Torino.
«Il morbo di Osgood-Schlatter (il termine italiano è apofisite tibiale anteriore) è una patologia sportiva che coinvolge i ragazzini in crescita – spiega il professore -. L’età in cui è possibile soffrire del morbo è corrispondente ad una fascia che varia dai 10 ai 16 anni: non ci sono infatti coordinate precise perchè la maturazione ossea dei ragazzini, soprattutto maschi, è molto variegata; in una squadra di atleti tredicenni ci si può imbattere in profili di sportivi già sviluppati con tanto di baffetti e altri con un’altezza di appena un metro e venti: l’età scheletrica non corrisponde necessariamente a quella cronologica».
Tencone illustra successivamente i sintomi della patologia: «Si percepisce una sensazione di dolore in corrispondenza della parte bassa-anteriore del ginocchio, laddove il tendine rotuleo – uno dei tendini più forti del corpo umano, collegato al quadricipite – si lega alla tibia: accade di conseguenza che il tendine “tira” sulla tibia (in una zona di crescita) e nel tempo si può verificare che quest’ultima ne risulti infiammata o danneggiata, essendo appunto una zona ancora in fase di sviluppo».
Rimedi&recupero
Segue poi un’accurata delucidazione nel merito dei rimedi da adottare: «Innanzitutto è opportuno che la diagnosi sia precisa: un dolore all’altezza di quella zona non è sempre legato alla crescita o agli sforzi; ci sono infatti patologie ben più gravi – rarissimamente anche tumori ossei – che possono celarsi dietro dolori lungo la medesima area. E’ necessario quindi rivolgersi sempre e in primis ad un medico. Per quanto riguarda la cura la medicina più potente non può che essere il naturale riposo: so bene che i ragazzini non vorrebbero mai fermarsi, e che a volte i genitori e gli allenatori non vorrebbero mai porre freno alle prestazioni del rispettivo figlio/atleta, ma non vi è cura più efficace di questa. I tempi di rientro? Non sono quantificabili e variano a seconda della gravità e delle caratteristiche del paziente: per alcuni è necessaria qualche settimana, altri invece sono costretti a fermarsi per la durata di tutta la stagione sportiva. Non esistono cure farmacologiche particolari da seguire; è anzi importante non tentare di coprire il dolore con antidolorifici perchè potrebbero complicare maggiormente le tempistiche e le modalità di guarigione».
Seguono poi precedenti di sportivi illustri in ambito calcistico e non solo che hanno sofferto del morbo di Osgood-Schlatter riuscendo a superarlo brillantemente, seguendo in maniera adeguata tutte le cure del caso: «Ho avuto modo di curare atleti anche nel giro della Nazionale di cui, per motivi di privacy e tutela del paziente, non svelerò i nomi – spiega Tencone -. Addirittura uno di loro fu costretto, da ragazzino, ad operarsi perchè a furia di infiammarsi l’inserzione dell’osso coinvolto rischiava di scollarsi da quest’ultimo. Il fatto dunque che anche atleti rinomati abbiano sofferto del morbo, ma siano comunque riusciti nel prosieguo della rispettiva carriera dimostra che fermarsi in attesa della completa guarigione non ne compromette affatto le sorti».
Consigli&domande
Chiusura infine con un monito indirizzato ad allenatori e tecnici circa le modalità di allenamento: «E’ sempre importante interrogarsi circa la correttezza delle proprie metodologie di allenamento; quando una patologia come il morbo di Osgood-Schlatter interessa un solo atleta per squadra allora la si può considerare una predisposizione personale, ma se a soffrine sono molti ragazzini all’interno della stessa squadra allora è il segnale di carichi di allenamento troppo intensi per quel gruppo di giovani».